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La forza silenziosa del disordine

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Chiunque abbia vissuto un’azienda dall’interno lo sa, anche senza aver mai studiato fisica: le cose, col tempo, tendono a complicarsi. I processi diventano più lunghi, le informazioni si perdono, le responsabilità si sfumano. Nessuno sembra aver deciso che dovesse andare così, eppure succede. Sempre.

In fisica questo fenomeno ha un nome molto semplice: entropia. È la misura del disordine di un sistema. E una delle leggi fondamentali ci dice che, se non facciamo nulla, l’entropia tende ad aumentare.


Non serve pensare all’universo o alle galassie. Basta pensare a una scrivania. Il primo giorno è ordinata. Poi arrivano fogli, appunti, post-it, oggetti “da sistemare più tardi”. Nessuno lavora attivamente per creare il caos, ma il caos arriva lo stesso. L’ordine, invece, richiede un gesto consapevole. Tempo. Energia.

Le aziende funzionano allo stesso modo.


“Il disordine è più probabile dell’ordine.” - Erwin Schrödinger

All’inizio tutto è chiaro. Poche persone, ruoli definiti, comunicazioni dirette. Poi l’organizzazione cresce, si aggiungono clienti, strumenti, procedure, urgenze. Ogni nuova esigenza è sensata, ogni soluzione nasce per risolvere un problema reale. Ma, una dopo l’altra, queste soluzioni si stratificano. Nessuna viene tolta. Nessuna viene davvero ripensata.

Il risultato non è una cattiva azienda. È un’azienda normale.

Processi che nessuno conosce fino in fondo. Riunioni che esistono “perché ci sono sempre state”. File duplicati in tre cartelle diverse. Decisioni prese altrove, da qualcuno che non è più nemmeno in azienda. Tutto questo non è incompetenza. È entropia organizzativa.


Il punto interessante è che il disordine non ha bisogno di cattive intenzioni per crescere. Cresce anche nelle organizzazioni sane, motivate, piene di persone competenti. Proprio perché il lavoro quotidiano assorbe tutte le energie disponibili, e nessuno ne ha più per rimettere ordine.

Ed è qui che entra in gioco il ruolo manageriale, spesso frainteso.

Tenere ordine in un’azienda non significa controllare di più, né aggiungere regole. Significa fare l’opposto: togliere. Chiarire. Semplificare. Decidere dove vale la pena spendere energia e dove no.


In fisica una pallina lasciata su un piano inclinato rotola verso il basso. È la direzione naturale. Per farla risalire serve energia esterna.

Il disordine organizzativo è come la discesa della pallina: avviene senza che nessuno lo decida. L’ordine, invece, è una risalita continua: va spinto, accompagnato, sostenuto.

Quando un manager dice “non so perché le cose si siano complicate”, spesso la risposta è semplice: perché nessuno stava più spingendo la pallina verso l’alto.


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Il paradosso è che l’ordine non si vede subito. Il disordine sì. L’ordine è silenzioso. Si manifesta nel fatto che le persone perdono meno tempo, fanno meno domande inutili, commettono meno errori. Ma proprio perché non fa rumore, spesso non viene difeso.

E allora l’entropia riprende a salire.

Forse uno dei compiti più sottovalutati di chi guida persone e organizzazioni è proprio questo: non inventare sempre qualcosa di nuovo, ma proteggere continuamente ciò che rende il sistema semplice, leggibile, umano.

Non è un lavoro spettacolare. Non fa titolo. Ma è quello che permette alle aziende di funzionare senza consumare tutta l’energia delle persone solo per orientarsi.


In fondo, come nell’universo, anche nelle organizzazioni l’ordine non è mai definitivo. È una scelta che va rinnovata. Ogni giorno.

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