Dal gruppo alla squadra: la maturità organizzativa che fa la differenza
- Goffredo Antonelli
- 18 minuti fa
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C’è una frase di Julio Velasco che ricorre spesso quando si parla di lavoro di squadra: “Il gruppo è una somma di individualità. La squadra è una moltiplicazione.” È una distinzione semplice ma profonda, che va ben oltre lo sport. In azienda, come in campo, la vera sfida non è far convivere le persone, ma farle funzionare insieme.
Molte organizzazioni investono sui talenti individuali, sulle competenze, sulla motivazione. Ma il punto non è solo chi lavora, bensì come le persone si muovono all’interno di un sistema. Una squadra aziendale non si costruisce con la buona volontà, ma con la chiarezza: ruoli definiti, obiettivi condivisi, flussi di comunicazione che permettono di collaborare davvero. Quando queste dimensioni mancano, anche le persone più capaci finiscono per disperdere energia.
Ogni azienda conosce bene i cosiddetti “alibi organizzativi”: non è compito mio, il processo non è chiaro, l’altro reparto non collabora. Non nascono da mancanza di impegno, ma da un contesto che non favorisce la responsabilità. Quando i confini sono sfumati o le regole del gioco cambiano a seconda di chi le interpreta, diventa naturale cercare una giustificazione anziché una soluzione. Per questo, la chiave non è motivare di più, ma disegnare meglio il campo di gioco: rendere chiaro chi fa cosa, perché, e con quali criteri di risultato.
In ogni organizzazione esiste un metodo, anche quando non è esplicitato. La differenza è se quel metodo è intenzionale o casuale. Allenare un’organizzazione significa lavorare su tre piani che si alimentano a vicenda: la struttura, che definisce ruoli e processi; i comportamenti, che rendono coerente l’interazione tra le persone; e la cultura, che dà senso alle regole e orienta le scelte quotidiane. Quando questi tre livelli si allineano, la performance diventa una conseguenza naturale, non un obiettivo da rincorrere ogni volta.
Le organizzazioni più evolute non eliminano il conflitto, lo gestiscono. Il confronto aperto non è una minaccia, ma un segno di fiducia: significa che le persone credono nella possibilità di migliorare insieme. Troppo spesso la gentilezza si trasforma in silenzio, e il silenzio in distanza. Ma la vera maturità organizzativa si riconosce quando il feedback è parte del gioco, non un’eccezione o un evento straordinario.
La leadership, in questo contesto, non è solo visione o capacità di ispirare, ma manutenzione quotidiana della coerenza: tra ciò che si dice e ciò che si fa, tra i valori dichiarati e le decisioni operative. È nella coerenza che nasce la fiducia, e nella fiducia che una squadra si consolida. Le organizzazioni coerenti non hanno bisogno di eroi, perché ognuno sa cosa fare, come farlo e perché.
“Guidare non significa comandare, ma servire.” — Max De Pree
La differenza tra un gruppo e una squadra, dunque, non sta nei nomi dei ruoli o nelle procedure, ma nella qualità delle relazioni. Una squadra nasce quando l’energia individuale trova una direzione comune, quando le persone smettono di “fare il proprio” e iniziano a “fare insieme”. È lì che l’organizzazione smette di essere una somma di competenze e diventa una moltiplicazione di responsabilità condivise.
